Riforma Cartabia e diritto all’oblio
La riforma Cartabia introduce e facilita l’iter per esercitare il diritto all’oblio di contenuti giudiziari su internet in caso di proscioglimento ovvero di sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere.
Il provvedimento mira a garantire il diritto all’oblio degli indagati o imputati di tutti quei dati sensibili presenti sulla rete che riguardano dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento.
A seguito di richiesta volta a precludere l’indicizzazione, il cancelliere del giudice che ha emesso il provvedimento è tenuto ad apporre una annotazione “ai sensi dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016″ che dichiara preclusa l’indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte in internet a partire dal nominativo del soggetto prosciolto.
Parimenti può essere richiesta la de-indicizzazione di quanto è già presente sulla rete internet ed in tal caso la cancelleria apporrà un’altra diversa annotazione ossia un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale sempre riguardo a ricerche condotte a partire dal nominativo del soggetto prosciolto.
Il nodo ancora da sciogliere è quello di delineare un iter chiaro per l’attuazione del provvedimenti che vietano l’indicizzazione o dispongono la de-indicizzazione da parte di chi ha ottenuto l’annotazione favorevole, se il ricorso al Garante o al giudice, o la possibilità di ottenere coattivamente il divieto di indicizzazione o la de-indicizzazione da parte dei siti o motori con semplice diffida scritta.
Avv. Fabio Cundari
L’intelligenza artificiale nel mondo del diritto
L’intelligenza artificiale viene definita come “la teoria e lo sviluppo di sistemi informatici in grado di svolgere compiti che normalmente richiedono l’intelligenza umana, come la percezione visiva, il riconoscimento vocale, i processi decisionali e la traduzione tra le lingue”. Questa definizione, applicata al diritto, potrebbe diventare “la teoria e lo sviluppo di sistemi informatici atti a svolgere compiti che normalmente richiedono le competenze tecniche di giuristi, come la qualificazione di clausole di contratti, il riconoscimento e la qualificazione di contenuti giuridicamente rilevanti, i processi decisionali basati sull’analisi giuridica, la valutazione dei rischi, la previsione probabilistica dell’esito di giudizi e la traduzione in contenuti giuridici di concetti/esigenze espresse da non giuristi”.
I possibili obblighi di utilizzo da parte del giurista
A prescindere dalle esigenze del mercato non si può configurare oggi in capo al giurista italiano un obbligo di utilizzare e/o conoscere queste soluzioni. Tuttavia, è ben ipotizzabile uno scenario futuro in cui il giurista, non preparato in materia di intelligenza artificiale, possa esser ritenuto responsabile per non aver svolto il proprio incarico con la diligenza richiesta. Se, sino ad oggi, la spinta a valutare l’applicazione di soluzioni di intelligenza artificiale è stata determinata principalmente da obiettivi quali il miglioramento del servizio reso ai clienti e la riduzione del relativo costo, si potrebbe ragionevolmente immaginare che in un futuro non troppo lontano cittadini/clienti pretendano che l’avvocato cui daranno mandato possieda almeno competenze di base circa l’applicazione dell’intelligenza artificiale nel campo del diritto. In questo prevedibile contesto futuro, l’uso di soluzioni di intelligenza artificiale potrebbe diventare una condizione essenziale per acquisire nuovi incarichi professionali o quantomeno gli incarichi professionali più complessi. Si tratta di un processo inevitabile volto al miglioramento, a certe condizioni, dei servizi resi dagli avvocati.
Le aree di applicazione dell’intelligenza artificiale nel settore legale
Un indizio del sempre maggior impiego di soluzioni di intelligenza artificiale nel settore legale in Italia è rappresentato anche dall’aumento delle aree in cui queste soluzioni possono trovare applicazione. L’applicazione dell’intelligenza artificiale sembra aver trovato finora applicazione soprattutto nel mondo della due diligence legale, nel contesto di compravendite societarie, settore che presenta caratteristiche favorevoli ad una diffusione rapida di queste soluzioni: volumi significativi di documenti, svolgimento di alcune attività molto dispendiose in termini di tempo e di rilevazioni, necessità di impiegare molti professionisti. Ma da qualche tempo si affacciano sul mercato sistemi di intelligenza artificiale destinati all’impiego in diverse aree quali il settore delle indagini interne e del contenzioso, entrambi caratterizzati da volumi significativi di documenti, tanto grandi da essere difficilmente gestibili senza il supporto di nuove tecnologie e nei quali l’uso dell’intelligenza artificiale può dare ottimi vantaggi sia in termini di qualità del lavoro che di efficienza. Un’altra area del diritto potenzialmente interessata da un maggior impiego di queste soluzioni potrebbe essere quella della compliance, nella quale la proliferazione delle normative applicabili ed il conseguente aumento delle informazioni da gestire e dei processi da monitorare/implementare impongono al giurista responsabile della compliance il ricorso all’uso di soluzioni di intelligenza artificiale.
Responsabilità medica: la Cassazione torna sul “principio probabilistico”
In particolare, di recente la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 21939/2019 ha statuito che, in tale tipologia di giudizi, sul paziente incombe l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra l’aggravamento di una patologia preesistente o l’insorgenza di una nuova tipologia e l’azione o l’omissione dei sanitari, posto che, in simili fattispecie, non è possibile invocare il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore.
Il paziente, quindi, deve solo dimostrare che la condotta del medico è stata causa del danno lamentato secondo il criterio del “più probabile che non”, con la conseguenza che, se al termine dell’istruttoria tale causa è rimasta assolutamente incerta, la domanda va rigettata.
Il paziente danneggiato deve provare solo l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento di una patologia ed allegare l’inadempimento del sanitario astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Rimarrebbe, invece, a carico del sanitario l’onere di dimostrare che l’inadempimento non vi è stato o non è risultato causalmente rilevante.
La Cassazione sancisce che è reato penale parcheggiare sul posto riservato ai disabili
E’ reato penale parcheggiare in un posto riservato a portatori di handicap. Storica decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha sancito il reato di violenza privata nel caso in cui un automobilista indisciplinato parcheggi la propria auto nel posto dedicato a chi è portatore di handicap. La Corte di Cassazione adita, dopo due gradi di giudizio che hanno sancito la colpevolezza del parcheggiatore per violenza privata proprio per aver parcheggiato in un posto riservato a disabili, oltre a cinquemila euro di risarcimento e pagamento delle spese processuali.
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